Nessun tipo di pressione nei confronti del pubblico ministero né tantomeno richieste di favori. Parola alla difesa nell’inchiesta, coordinata dalla Procura di Potenza, che ha coinvolto il procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo, finito ai domiciliari assieme all’ispettore di Polizia Michele Scivittaro e gli imprenditori baresi Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo. Il reato contestato è di induzione indebita a promettere o dare utilità. E cioè Capristo, secondo quanto sostenuto dell’accusa, avrebbe cercato di indurre Silvia Curione, pm di Trani (dove era stato Procuratore sino al 2016), ad aggiustare un processo ma la donna si sarebbe rifiutata, denunciando tutto.

Un’ipotesi respinta dagli indagati, a partire dai fratelli Mancazzo che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbero approfittato della loro amicizia con Capristo per fare pressioni sulla pm Curione, convincendola a perseguire la persona che, gli stessi imprenditori, avevano ingiustamente denunciato per usura ai loro danni, in modo da ottenere dei vantaggi economici.

Una teoria rigettata dai tre fratelli che, ascoltati dal giudice, hanno sostenuto invece di essersi limitati a chiedere notizie sullo stato del procedimento penale, senza alcun tipo di pressione.

A breve sarà la volta del procuratore Capristo, chiamato a ricostruire la vicenda nel corso dell’interrogatorio di garanzia, che sarà fissato la prossima settimana.