“Affronterò anche questo nuovo processo sulla discarica (a cui sono sempre stato contrario) con la solita dignità e senza mai abbassare la testa. Gli unici non imputati sono anche gli unici decisori in tema di discariche: il presidente della Regione Puglia ed il Commissario per l’emergenza rifiuti”. L’ex sindaco di Trani, Giuseppe Tarantini, ha commentato così, attraverso il suo profilo Facebook, la notizia del rinvio a giudizio, disposto dal gup Raffele Morelli, nel processo per disastro ambientale legato alla discarica di contrada Puro Vecchio.

Assieme a Tarantini, primo cittadino dal 2007 al 2012, saranno alla sbarra, il 10 aprile prossimo, l’Amiu Spa (alla quale era affidata la gestione dell’impianto) e altre 17 persone, tra ex amministratori  comunali e della società, tecnici e dirigenti regionali.

Nella lista degli imputati, figura anche l’ex assessore all’Ambiente di Tarantini, Giuseppina Chiarello che, commentando il post del sindaco, ha anche lei tirato in ballo Nichi Vendola, governatore pugliese all’epoca dei fatti contestati. Vanno a giudizio anche Luigi Riserbato, primo cittadino sino al 2015 ed il suo assessore all’Ambiente, Giuseppe De Simone.

Non luogo a procedere invece (causa prescrizione), per altri quattro imputati, coinvolti nel filone d’inchiesta sui presunti illeciti relativi alla gara d’appalto per la costruzione dell’impianto di captazione del biogas, mai realizzato: vale a dire la società Marco Polo Engineering (con sede nella provincia di Cuneo), il suo direttore generale Loris Zanelli, l’architetto barese Michele Lastilla e l’ex presidente del collegio sindacale Amiu Francesco Paolo D’Amore.

Sequestrato nel 2015 dal pm tranese Michele Ruggiero, l’impianto di Puro Vecchio venne chiuso definitivamente l’anno successivo per il pericolo di inquinamento, a seguito della fuoriuscita di percolato, liquido che trae origine dalla decomposizione dei rifiuti.

In seguito venne dissequestrato, con un mandato affidato all’attuale sindaco Amedeo Bottaro, per l’avvio delle procedure di bonifica.

In base all’ipotesi accusatoria, in quasi dieci anni la discarica avrebbe immesso nell’atmosfera circa 80 milioni di metri cubi di biogas, che dovevano essere captati in un apposito impianto. La sua mancata realizzazione avrebbe fatto sì che, nel tempo, il biogas esercitasse forti pressioni sotterranee, provocando l’eruzione di percolato, trasformando la discarica in una bomba pronta ad esplodere oltre che l’inquinamento della falda acquifera.

Gli imputati rispondono, a vario titolo, di disastro ambientale aggravato, omissione di atti d’ufficio, gestione continuata di rifiuti in assenza di autorizzazioni ed emissioni non autorizzate in atmosfera.