Declassando di due gradini l’Italia (da A a BBB+), il 13 gennaio 2012, l’agenzia di rating S&P non manipolò il mercato e non lo fece neppure con i tre report negativi sulla manovra finanziaria e sul debito sovrano emessi da maggio a luglio 2011: ma “resta confermato il ‘sospetto’ che tutti gli interventi di S&P nei confronti dell’Italia” siano stati “connotati da sicuro pregiudizio verso l’Italia”. Lo scrive il Tribunale di Trani nelle 315 pagine delle motivazioni della sentenza di assoluzione del 30 marzo scorso.

Con la sentenza, lo ricordiamo, sono stati assolti quattro analisti Yann Le Pallec, Eileen Zhang, Franklin Crawford Gill e Moritz Kraemer e l’ex presidente mondiale di Standard & Poor’s, Deven Sharma. Il pregiudizio, secondo il Tribunale, è stato riferito nel corso del processo “da esponenti qualificati del Tesoro e di Consob” perchè tutti gli interventi di S&P, dal taglio dell’outlook del 21 maggio 2011 al doppio declassamento del 13 gennaio 2012, “sono stati adottati in arco temporale ristretto, con valutazioni diverse da quelle delle altre agenzie di rating e, peraltro, dopo essere stato risolto il rapporto contrattuale (di consulenza, ndr) di S&P con l’Italia”.

Il processo, in realtà, “ha fatto emergere” gli “intrecci tra azionisti, manager, analisti, dirigenti del Tesoro, banche di affari e agenzie di rating”, ma non ha “consentito di delinearne in maniera definitiva i confini proprio per la ‘reticenza’ manifestata da alcuni testi”.