Soldi ai magistrati per tirare fuori i suoi fratelli dal carcere. Una nuova sconcertante rivelazione arriva nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla Procura di Lecce che ha portato in carcere i due ex magistrati della Procura di Trani Michele Nardi e Antonio Savasta, accusati di corruzione in atti giudiziari.

A parlare, in base a quanto riportato dal quotidiano “La Repubblica” è Francesco Casillo, noto imprenditore pugliese nel settore del grano, riferendo di aver pagato complessivamente 550mila euro per ottenere la scarcerazione di due fratelli e una sorella, finiti in cella nel corso di un’indagine per alcuni terreni sequestrati per reati ambientali.

Secondo quanto pubblicato dalla testata, poco dopo il sequestro degli stessi terreni, Casillo sarebbe stato contattato da una persona vicina i due magistrati, che gli avrebbe suggerito di nominare un preciso avvocato, ottenendo tuttavia una risposta negativa.

Dopo qualche giorno, lo stesso Casillo finì in manette nell’ambito di un’inchiesta condotta da Savasta (e che vedeva Nardi nelle veste di pm che aveva convalidato l’arresto) sull’acquisto di un carico di grano proveniente dal Canada, ritenuto contaminato da sostanze cancerogene.

Durante il periodo di detenzione, un amico di famiglia dell’imprenditore sarebbe stato avvicinato nuovamente da emissari di Nardi e Savasta, che annunciarono l’imminente arresto dei fratelli e della sorella, (poi effettivamente avvenuto) e suggerirono nuovamente di rivolgersi a due avvocati di loro fiducia.

Alla fine, la questione si sarebbe risolta con il pagamento, da parte di Casillo, di 550mila euro di cui 350mila in nero e 150mila fatturati. Ad ogni versamento – secondo il racconto di Casillo – nel giro di qualche ora usciva di prigione un fratello.  L’imprenditore avrebbe anche rivelato che il suo legale, su consiglio di Antonio Savasta, gli avrebbe suggerito di chiedere il patteggiamento nell’ambito del procedimento che lo vedeva direttamente coinvolto.  Casillo accettò, scegliendo di patteggiare una multa di 3mila euro. L’accordo sarebbe rimasto per due anni nel cassetto del magistrato, per poi essere alla fine rigettato dal giudice.

Il processo a carico dell’imprenditore si concluse con la sua piena assoluzione da tutte le accuse.