Riceviamo e pubblichiamo una nota a firma del movimento civico Articolo97 sui recenti accadimenti della sanità pubblica locale, in particolare della città di Trani:

«Qualsiasi persona osservi un’automobile nuova in un autosalone ci gira intorno ma non si accontenta solo di guardare il frontale o la fiancata e quindi ci entra pure, si siede dentro per avere una visione completa, da più punti di vista.

Proviamo perciò ad esaminare in maniera un po’ diversa i recenti accadimenti sulla sanità pubblica locale: per un momento proviamo a non interessarci alla cronaca giudiziaria in senso stretto, a non emettere sentenze che interessano solo il mondo giudiziario e che non sono quindi in grado di migliorare in alcun modo il sistema complesso di cura e che invece, pruriginosamente, a tutti piace sputare.

È catartico puntare il dito, sdegnarsi per pochi secondi, per ognuno di noi che, con lo stesso dito, scioglie il cordoncino della borsa per offrire soldi a qualcuno per ottenere, prima e meglio, qualcosa che non ci viene permesso di ottenere. Così come sempre con l’ausilio di quel dito, siamo disposti a scrivere sulla scheda elettorale il nome di chi, invece, un po’ di soldi ce li dà oppure ci fa qualche promessa di assunzione di una caterva di nostri parenti.

Proviamo invece a guardare la questione da un punto di osservazione diverso, di sistema, più da lontano, con lo sguardo più largo.

Perché mai un cittadino dovrebbe sentire il bisogno di pagare per ottenere un diritto? La risposta è che quel diritto è probabilmente particolarmente difficile da esigere in Puglia.

E chi dovrebbe consentire che i diritti siano equamente esigibili?

Proviamo a ragionarci un po’.

Il sistema sanitario pubblico, precedente vanto internazionale, si regge sulla fiscalità generale, sulle tasse. Successivamente la classe politica decide come impiegare e distribuire quelle risorse economiche, scegliendo i professionisti o manager (come quelli bravi amano chiamarli) in grado di ricevere questi nostri danari per impiegarli bene e per far funzionare la macchina che deve fondamentalmente permettere il godimento del diritto costituzionale alla salute.

La nostra Regione, anche grazie ai suoi amministratori politici evidentemente di qualità non proprio eccelsa (probabilmente come i cittadini che li hanno votati) è costantemente agli ultimi posti nazionali per indici di qualità di assistenza ed infatti la fondazione indipendente GIMBE, nei suoi rapporti (ultimo rapporto del 2023), colora costantemente di rosso la Puglia, così come accade anche per la mobilità passiva (i cittadini che per curarsi devono effettuare i viaggi della speranza nel nord della nazione).

È quindi complicato curarsi in Puglia, è difficile riuscire ad ottenere il godimento del diritto all’esecuzione di un esame diagnostico o un intervento (al netto della correttezza ed appropriatezza prescrittiva) necessario.

Avendo poche chances: si deve mettere mano al borsellino per rivolgersi al sistema sanitario privato oppure comprare un biglietto di trasporto per raggiungere regioni dove accettino di curarci e dove, per inciso, i sistemi sanitari sono notoriamente più efficaci ed efficienti.

Se invece si è un po’ più poveri, si deve cercare di ottenere quel diritto localmente, magari di qualità più bassa, pagando un po’ meno e brigando di più. Quindi bisogna obbligatoriamente transitare dal purgatorio dell’ambulatorio del medico ospedaliero in libera professione oppure pagare qualche mazzetta.

Precisiamo, sin dal principio, che in un paese che sottopaga vergognosamente il personale sanitario pubblico, l’attività libero professionale è assolutamente permessa oltre che lecita, ed è pertanto persino giusta, ma dev’essere perequata con i livelli di attività istituzionale e controllata dalle aziende sanitarie nelle sue conseguenze sulle liste di attesa, poiché i dati sono chiari, evidenti e disponibili, per chi voglia anche solo leggerli o esaminarli.

Succede pertanto che nonostante i dettati di legge (D.M. 77 del 23 maggio 2022) che definiscono i modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel servizio sanitario nazionale/regionale, gli ex-ospedali per acuti chiusi e riconvertiti a presidi di cura territoriale, come il PTA di Trani, non abbiano alcun ruolo organizzato ma ancor peggio, alcuna idea di funzione o alcun coordinamento. La confusione provocata dall’assenza di governo delle azioni, che non chiarisce la coesistenza di anomale e slegate propaggini ospedaliere in una struttura territoriale, porta come naturale conseguenza all’incapacità di fornire la presa in carico dei bisogni di salute più diffusi, che devono perciò cercare soluzioni alternative in scorciatoie più o meno lecite.

Succede che politici locali con ruoli vari e di prestigio, anche in giunta regionale, non abbiano mai saputo suggerire un ruolo a tale struttura, fidandosi di tecnici di loro fiducia (anche medici) non dotati delle necessarie competenze tecniche, che dal 2018 “fanno” e poi “disfano” il PTA di Trani senza alcuna logica ma soprattutto a seconda delle convenienze personali del momento e con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Succede pure che qualche libera associazione di cittadini proponga sin da prima del 2022, prima del DM 77, possibili soluzioni funzionali che sarebbe ancor oggi istruttivo leggere, puntualmente gettate nella pattumiera senza neanche averne letto il titolo.

Questo è il nostro punto di vista differente soprattutto perché ogni singolo punto di vista è parziale ma senza si impedisce la comprensione del problema nella sua interezza».