Riceviamo e pubblichiamo una nota a firma del movimento Articolo97 di Trani:

«In questi giorni stiamo assistendo al revanscismo sull’argomento ex ostetricia di Trani, con articoli ed interviste sulle riviste on line locali, e persino originali proposte di soluzioni parlamentari all’annoso problema del codice fiscale, della “L328”, non della capacità di fruizione del diritto costituzionale alla salute.

Ma facciamo un po’ di chiarezza, verificando alcuni fatti: sappiamo che nel 2004 fu chiusa l’ostetricia con uno sciagurato provvedimento senza alcun senso logico (poiché carente
della documentazione istruttoria) da parte dell’allora Presidente della regione Puglia, Raffaele Fitto, anche perché, ci ricorda il Giornale di Trani del 09.07.2022, “le nascite erano in calo già dal 2000 e i numeri dei nuovi nati a Trani riassumono in maniera eloquente la parabola discendente già in atto: 461 nel 2000; 430 nel 2001; 414 nel 2002; 377 nel
2003; 167 nel 2004”. C’è da precisare che fu chiusa la sola ostetricia poiché l’agonia di tutto il restante ospedale fu il risultato dell’operosità certosina, e quasi scientifica, di Nichi Vendola mentre la definitiva morte fu conseguenza del “pietoso” colpo di grazia alla nuca (quello che si dà al cavallo gravemente azzoppato per mettere fine alle residue convulsioni) del dott. Emiliano, di fianco ai sorridenti avv. Bottaro e Santorsola, nel 2016.

Sappiamo che i numeri non sono importanti neanche per la Procura tranese, vista l’archiviazione dell’esposto di quelli “errati” dell’ex Pronto Soccorso di Trani (qualcuno li doveva pur aver comunicati) pubblicati da AGENAS nel 2013 nel PNE (enormemente discordanti da quelli reali). Ma leggere che l’ostetricia, che Fitto decise di chiudere, “non era la peggiore” e che vi era una “indiscutibile e riconosciuta funzionalità del reparto”, senza che nessuno, il dott. Avantario ancor di più del dott. Tarantini (visto che ci lavorava) abbia mai inteso verificare la veridicità dei numeri trasmessi in regione, è inconcepibile.

Quel calo dei numeri, unico dato cui poteva appigliarsi la Regione, era reale? Noi sappiamo che per i dati del Pronto Soccorso vi fu una verifica, persino una comunicazione e successivamente anche un esposto, tutti finiti nel nulla, ovviamente; ma perché nessuno si fece avanti per l’ostetricia, seppur afflitto da “tristezza e rabbia”?

Oggi quel qualcuno potrebbe ben dire di aver tentato tutto, oltre a giocare inutilmente sui tecnicismi giuridico-amministrativi, delle delibere al TAR (altro elemento che la storia dovrà valutare). Il punto, invero, è stato soltanto sfiorato dal dr. Tarantini, ed è il famoso numero “1000 parti per anno”. È un dato squisitamente tecnico, è legato alla sicurezza ed alla qualità delle cure, all’acquisizione delle competenze e delle abilità necessarie, mentre sulla validità delle prestazioni offerte dal PTA di Trani non siamo d’accordo. Una prestazione è valida se è misurata: quali sono i numeri del PTA?

Qual è il peso delle prestazioni? È garantita l’equità d’accesso per il bacino di riferimento?
Prima di ogni considerazione, bisogna dire chiaramente che ogni decisione organizzativa deve essere preceduta da un adeguato dossier tecnico che riporti accuratamente i risultati di studi onesti in cui i bisogni, i flussi, i dati, gli esiti, siano esplicitati. In assenza è arbitrio, è ingiustizia, è favorire la città amica.

Quindi se A.O.G.O.I. (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) con il concetto di “Nascere Bene, Nascere Sicuri”, recependo le indicazioni della W.H.O. (Organizzazione Mondiale della Sanità), intende fermare l’attenzione sulla qualità e la sicurezza delle cure, per mamma e bimbo, la domanda da farsi è: quella chiusura del 2004 ha migliorato la
sicurezza e la qualità delle cure per la nostra comunità? Ha migliorato l’organizzazione? Ha razionalizzato le risorse umane e strutturali? Quali sono i dati e gli esiti dei punti nascita lasciati in vita? Ecco queste sono le domande.

Se scoprissimo, ad esempio, che un ipotetico punto nascita residuo è sempre abbondantemente rimasto sotto i 600 parti/anno, ed ha un’attività chirurgica di poche decine di casi/anno, sì poche decine, a cosa è servito tutto ciò? La sicurezza e la qualità, la clinical competence, sono aumentate?

Il Consiglio di Stato, a tal proposito, con la Sentenza del 23/09/2019, ricordando le “Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo” dettate con l’accordo tra Governo, Regioni ed Enti Locali sancito dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni del 16 dicembre 2010, che prevedono, tra l’altro, al punto 1, la “razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno”, su questo argomento, era stato sufficientemente chiaro.

Sull’idea bislacca della Casa del Parto, terminata e mai andata prudentemente in funzione, intrinsecamente pericolosa anche solo per l’assenza, allora, di adeguati piani rescue S.T.A.M. e S.T.E.N., concretizzatasi solo in un enorme spreco di denaro pubblico, nella Casa del party, per le sole aziende realizzatrici e fornitrici, bisognerebbe soltanto tacere e
stendere un velo pietoso, e chiedere anche scusa per la distrazione dei fondi pubblici da capitoli di spesa meglio ponderati, più utili e più supportati da evidenze».