Quindi ci siamo, domenica e lunedì si vota. Al di là del risultato e soprattutto dell’affluenza che verrà (la disaffezione alla politica si tocca con mano e non solo ed il timore maggiore da parte dei Manovratori della macchina è proprio quello) ho osservato ancora una volta il “trattamento” riservato ai comuni cittadini, a coloro che “fanno numero” e alla fine, come “massa”, lo dico in senso positivo, oggettivo, non dispregiativo, possono fare la differenza.

Il “carissimo” elettore in queste settimane, il comune cittadino è stato allisciato a dovere. Messaggini privati, riunioni durante le quali poter essere (finalmente) considerato, ascoltato, rincuorato.

Tutto questo dopo che negli anni di governo e incarichi effettivi, indipendentemente dalle parti, per essere ascoltato, doveva “buttare il sangue” e ricorrere alla stampa o all’amico dell’amico. Pure per far riaccendere le illuminazioni, pure per far riaccendere un semaforo, pure per farsi coprire una buca. Sempre a buttare il sangue, a farsi venire le scorze in gola, a vagare sui social in cerca di approvazione per poi mettersi il like da solo (dramma psicologico da studiare).

Ora, nella campagna elettorale, il tabù è finito, svanito. L’amico carissimo elettore è stato meritevole di ascolto, considerazione, sorrisi e braccia larghe, “un caffè all’amico, sta pagato”, risposte al telefono dopo appena due squilli, post dedicati, messaggi dedicati, inviti, promesse d’impegni, riaperture di tutto, pure del Bellini a luci rosse con nuovo mutuo decennale.

Un mix ben condensato di tre quarti d’ipocrisia, una fetta di “paracul”, una spruzzata di sorrisi falsi e considerazione posticcia peggiore del peggior parrucchino di Conte o Trump, più opprimente e umiliante del 5a0 del Paris Saint Germain . Tutto per il carissimo elettore. A proposito: “Come hai detto che ti chiami?”