Secondo appuntamento giovedì 30 marzo alle 9.30 (presso l’auditorium della parrocchia di San Magno) con la rassegna di “Teatro civile” curata dal Teatro Pubblico Pugliese, dalla Regione Puglia e dalla Città di Trani, rivolta agli studenti delle scuole superiori cittadine.

In scena lo spettacolo, intitolato “Denuncio tutti” della compagnia Teatro Prisma, ci porterà a fare i conti con la storia di Lea Garofalo, la giovane calabrese testimone di giustizia che, attraverso le sue deposizioni, ha permesso di comprendere più a fondo la portata dei traffici illegali di stupefacenti intercorrenti tra le ‘ndrine calabresi e il capoluogo lombardo.

La rassegna, pensata “nella consapevolezza che la cultura e in particolare il teatro debbano costituire le fondamenta per la costruzione di una società libera, giusta e responsabile” come sottolinea l’assessore Lucia de Mari, ha registrato l’adesione delle scuole superiori cittadine: gli studenti, al termine della rappresentazione, saranno protagonisti di un dibattito sulle tematiche affrontate insieme agli autori e gli attori delle opere teatrali. L’iniziativa, infatti, nella fattispecie vuole offrire l’occasione di ripensare la messa in scena delle conflittualità odierne e sviluppare l’attitudine al pensiero critico, unico vero strumento per rammemorare il carattere “politico” dell’individuo, governare il presente e mostrare nuovi orizzonti di possibilità.

DENUNCIO TUTTI
“Mi assumo tutta la responsabilità per l’omicidio di Lea Garofalo”. Così Carlo Cosco, ex compagno di Lea, confessa in aula il suo atroce delitto. Lea Garofalo è una testimone di giustizia e Carlo Cosco il capo del clan ‘Ndranghetista di di Viale Montello a Milano. La ‘Ndrangheta è un modello di vita, una cultura, uno Stato nello Stato che spaccia, appalta e uccide e Milano è il centro degli affari e dello spaccio.

Lea nasce in questo clima ma la sua voglia di libertà spacca gli schemi, è come sabbia nei meccanismi oliati della mafia calabrese, è un grido di aiuto e di verità che si eleva al di là delle istituzioni inermi e inefficaci. Da Petilia Policastro a Milano, in Viale Montello 6 fino alla sua morte, avvenuta in un appartamento di Via Prealpi e alla distruzione del suo corpo in un cantiere in Brianza. Milano è il centro anche della vita e della morte di Lea Garofalo. Perché quella che si ritiene una mafia minore, una mafia locale in realtà è la mafia più potente del mondo.

Che si fa di una persona così? Che si fa di una vittima che non è solo vittima silenziosa? Cosa fa il nostro Stato di una vittima che cerca di ribaltare il suo cammino e cerca di insegnare, con le sue azioni, come ribaltare il percorso di una società? Questa è la domanda che Lea Garofalo mi ha posto come autore e come regista. Che si fa di una vittima che afferma com’è terribile questo Stato che ti usa, ti ascolta, ti spreme e poi ti butta. La vittima di un ordine che si può definire “istituzionale”, perché la Ndrangheta è uno Stato, è dentro lo Stato, è lo Stato.

E Lea Garofalo per questo Stato deve morire, da sola, abbandonata da tutti, così come sono stati abbandonati Falcone, Borsellino, Livatino, Impastato perché quando lo Stato abbandona, quello Stato ha gli occhi della mafia. Distruggono letteralmente il corpo di Lea Garofalo perché va distrutta l’idea che alla Ndrangheta ci si può ribellare, che dal senso di omertà mafiosa si può uscire. Ma non si può raccontare Lea se prima non si racconta come la Ndrangheta entra dentro la vita di ciascuno di noi e la influenza.

Quando ho scritto questo spettacolo sentivo quanto fosse giusto mettersi accanto a Lea e denunciare. E io che sono una persona libera posso dire le cose che diceva Lea, ma ad ogni parola sono consapevole di perdere un grammo di questa libertà, perché quando si deve portare alla luce lo scandaloso mondo della Ndrangheta, l’alleanza assassina tra Stato e mafia, inevitabilmente sai che questa libertà la stai per perdere. Ma “per Lea si fa questo ed altro” ha scritto un giornale ed è giunta l’ora di parlare della cultura mafiosa non più come localizzata in certi luoghi, Sicilia, in Calabria, in Campania, ma riconoscere che tutto lo Stato, la cultura, l’apparato si sono impregnati di questo modello cupo, prepotente, vigliacco. Ma di questi atti coraggiosi, di queste figure coraggiose come Lea Garofalo ne abbiamo bisogno, oggi più che mai.