Ogni tanto torna sulle bocche dei politici la famosa frase che riguarda il rilancio della pietra di Trani. Ma ormai quella risorsa è quasi del tutto esaurita e di essa non resta che un ricordo. Quello di un simbolo. Anzi di uno status symbol di una città come Trani divenuta famosa nel mondo grazie a quella pietra bianca, lucente, pronta a raccogliere la luce di splendide giornate. Quel binomio tra luce e pietra fu esaltato anche dal francesista nostro concittadino Giovanni Macchia.

Sì era il simbolo della fatica coi cavamonti che sudavano e si spaccavano la schiena, ma anche era l’emblema, quella pietra, del benessere, del lavoro sicuro, della gratificazione e autocertificazione di una città come Trani orgogliosa d’identificarsi in un simbolo nobile e semplice, redditizio ed elegante come lei, Trani è sempre stata. Era uno dei simboli del piccolo grande boom economico tranese che dagli anni 60 arriva con la sua onda lunga fino alle soglie degli 80.

Oggi non rimane che la battuta derisoria e secca, spietata e risolutiva per denigrare qualcuno: V’è fatic a’ o’ petral”. I marmisti lavorano prevalentemente con realtà esterne dal Marocco ai cinesi. Quell’identita’ tranese scolpita nella Pietra, la sua Pietra, è una delle tante caratteristiche perse per strada da questa città.

Nelle foto di questa settimana, sempre gentilmente concesse da Ruggiero Piazzolla e tratte dal suo libro “Passeggiando per Trani- anni 60- 80”, ecco due marmisti all’opera, completamente imbiancati. Artisti, tranesi, lavoratori di una volta.