Ma veniamo allo specifico analizzando proprio la geografia dei clan nella sesta provincia pugliese: nel periodo analizzato si confermano le storiche rivalità a Trinitapoli tra i Miccoli-De Rosa e i Gallone-Carbone (culminati con l’omicidio di Pietro De Rosa dello scorso 20 gennaio), a Barletta quelle del gruppo Cannito e degli Albanese, e ad Andria tra il clan Pastore – Campanale ed i Pistillo – Pesce. A Canosa di Puglia, oltre al consolidato gruppo dei Matarrese, dedito allo spaccio di stupefacenti, opera il sodalizio Carbone collegato alla criminalità cerignolana. In generale, in tutta la Valle d’Ofanto persiste l’influenza della malavita cerignolana da cui i gruppi criminali del territorio stanno raccogliendo modelli operativi e strategici, che ne favoriscono la crescita criminale.
“Le inchieste “Porto” e “Pandora” – spiegano dalla DIA – hanno evidenziato come lo storico clan barese dei Capriati, nel suo processo di espansione oltre i confini del capoluogo di regione, si sia da tempo insediato a Bisceglie (con collegamenti con il gruppo Valente),ma anche a Barletta (con collegamenti con il gruppo Albanese) ed a Trani. L’operazione “Angel” ha scoperto, invece, l’affiliazione di un gruppo criminale attivo per lo spaccio della droga nei comuni baresi di Ruvo, Molfetta e Palo del Colle e nella BAT, a Trani e Bisceglie, al clan Misceo di Bari, il quale garantiva l’approvvigionamento dello stupefacente, ma effettuava anche un controllo economico sulla gestione dell’attività ed, in particolare, sui compensi per i pusher. Infine, la già citata indagine denominata “Montagne Verdi” ha portato all’arresto di due fratelli legati da rapporti di parentela con la famiglia mafiosa Li Bergolis di Monte Sant’Angelo, che provvedevano a rifornire di ingenti quantitativi di marijuana il gruppo criminale Colangelo di Trani”.
Dall’inchiesta, invece, sull’omicidio del 23 gennaio 2018 di un pregiudicato, sorvegliato speciale di P.S. residente ad Andria, è stato accertato che il movente era connesso al coinvolgimento della vittima nell’assalto al caveau di una azienda di trasporto valori di Catanzaro, compiuto il 4 dicembre 2016 con strategie e tecniche paramilitari. “Gli esiti delle operazioni eseguite nel semestre – spiegano ancora dalla DIA – confermano la propensione criminale dei gruppi autoctoni verso i reati predatori (furti di autovetture, furti aggravati, con il ricorso di esplosivi, agli sportelli ATM bancomat/postamat, e rapine in danno di aree di servizio, banche, autotrasportatori ed automobilisti) commessi, non solo nel territorio d’appartenenza, ma soprattutto con “trasferte” in altre province di tutta la penisola”.